Qui, nei suoi alti e bassi, si veda la pittura del mondo della prigione, o l'ambiente irlandese reso in modo quasi documentaristico o il piacere tutto particolare con il quale Huston dipinge l'universo (il castello che va in fumo, lo yacht) delle spie, prendendosi gioco di tutta una generazione di pellicole. O ancora il finale nella chiesa, sorprendente e geniale, nel quale tutta l'intelligenza di Huston e del suo procedimento rifulgono: con i due avversari ad esaminare la meccanica del loro gioco, come in uno specchio. Fino a concludere, proprio in nome della meccanica esistenziale che governa le loro azioni, nel modo più logico, più lucido.

Il cinema di Huston è quello, appunto, della lucidità. Lucidità di un artista nei confronti della propria arte.